Tra l’XI e il IX secolo avanti Cristo il Mediterraneo doveva essere un mare grande e terribile, sicuramente più insicuro e pericoloso dei nostri oceani, attraversato da pochi intrepidi naviganti dediti al commercio ed alla guerra. Per capire il Mediterraneo di allora occorre compiere una mutazione profonda: occorre restituirlo alla sua dimensione autentica, quella originaria, che poteva essere percepita dall’uomo del passato: non una via di comunicazione ma “un limite, una barriera che si estende fino all’orizzonte, come un’immensità ossessiva, onnipresente, meravigliosa, enigmatica” per usare una locuzione cara a Braudel.
Il mare di allora era sconfinato e, soprattutto, rappresentava un ostacolo; poi, con la rivoluzione dei trasporti, si è come “accorciato” sempre di più, al punto da apparire come un grande lago: un aereo oggi lo attraversa, da nord a sud, in poco più di un’ora. Nel corso dei secoli il mare ha determinato il rapporto dei sardi con l’esterno, dando vita ad una dialettica complessa fatta di aperture e di chiusure: il mare è stato, a seconda delle epoche storiche, fattore di isolamento e finestra sul mondo.
La Sardegna si apriva agli albori della civiltà classica attraverso la saldatura, non certo indolore, della civiltà auctotona con quella dei primi colonizzatori che vi giunsero con le loro navi alla ricerca dei metalli di cui l’Isola era ricca. Comunemente venivano definiti “fenici” (termine a noi pervenuto attraverso i testi greci); ma tale locuzione, al pari della sua deformazione romana “punici”, non venne mai utilizzata dai “fenici” che si chiamavano “cananei”. Nè è mai esistita la Fenicia, come stato o nazione: esistevano, in quell’area geografica che corrispondeva all’incirca all’attuale Libano, delle “Città-Stato” arroccate prevalentemente su alture rocciose o in prossimità della costa.
Era convinzione comune che la Sardegna avesse la forma di un piede, un’orma, ichnos in greco, da cui Ichnusa o Ichnussa (che fu l’antico nome della Sardegna), altrimenti chiamata Sandàlion termine che fa riferimento all’ impronta di un sandalo. In quell’epoca, inabissata nelle profondità della storia – quando l’età del bronzo si concludeva per lasciare il passo, senza soluzione di continuità, all’età del ferro – le acque del Mediterraneo erano già state solcate dai popoli del mare tra cui i filistei che approdarono nelle rive della Sardegna ancor prima dei fenici. Le invasioni dei popoli del mare – che si collocano all’incirca tra il XIII e l’XI secolo a.C. – peraltro non modificarono i caratteri culturali ed etnici delle popolazioni anche perchè non diedero vita alla creazione di scali costieri permanenti o di insediamenti urbani.
Costretti ad abbandonare l’isola di Creta, i filistei (gli antichi Keftiu dei testi egizi) dovettero stanziarsi in una terra che porta ancora il loro nome: la Palestina (in arabo Filastin significa appunto “terra dei filistei”). Questo popolo – che aveva assimilato la lingua dei fenici adottandone l’alfabeto – molto probabilmente raggiunse le coste sarde, prima di ogni altro, alla ricerca del ferro. I filistei furono presenti in Sardegna per quasi due secoli e mezzo, all’incirca dal 1000 al 750 a.C., allorchè l’egemonia fenicia finì per imporsi sulle rotte del Mediterraneo: lo evidenzia l’accademico dei lincei Giovanni Garbini, ordinario di filologia semita presso l’Università di Roma nel libro “I filistei” (ed. Rusconi). A questo ardito popolo del mare, appartenente al ceppo egeo-anatolico, potrebbe ricollegarsi l’influsso orientale che caratterizza taluni esemplari di bronzetti nuragici.
I filistei sono citati nella documentazione egiziana, a fianco degli altri popoli del mare tra cui i shardana che compaiono, già nel 1300 a.C., come truppe mercenarie al soldo dei faraoni d’Egitto e dei re siriani. In quell’epoca il faraone Ramsete II li affrontò in una battaglia navale per far cessare le loro incursioni piratesche. Non sappiamo se i shardana vivessero davvero stabilmente nella nostra terra o, assai più probabilmente, sulle coste dell’Anatolia occidentale o in qualche isola prospicente: di loro ci è giunta la documentazione iconografica che li ritrae con corpetto difensivo, lunga spada ad elsa lunata ed elmo a corna.
Ma chi erano, da dove venivano queste genti? La ricerca storica non consente di superare l’enigma e racconta la tormentata vicenda di popoli che registrarono a loro favore invasioni e conquiste, per poi scomparire nel volgere di un periodo relativamente breve, incapaci di resistere agli incendi, alle carneficine, al crollo delle fortificazioni, all’ indiscriminato sconvolgimento delle città, all’aggressione ed al saccheggio dei centri urbani, come ipotizza Braudel (Il Mediterraneo).
I filistei emergono sulla scena della storia – che è poi la storia dell’umanità – in un momento di estrema drammaticità, quando “nel Mediterraneo orientale si stava chiudendo tragicamente, con immani distruzioni, l’età del bronzo, che cedeva il passo a quella, ancora più dura dell’età del ferro. Essi appaiono tra i protagonisti di una grande battaglia combattuta per terra e per mare, nella quale, secondo il racconto del vincitore, sarebbero stati annientati” (Garbini, I filistei).
Costituisce un dato che i popoli del mare – quella loro travagliata esistenza – si addentrarono anche nella Sardegna, terra mitica, popolata in prevalenza da pastori erranti, immaginata anche da Omero, il cantore cieco che, proprio tra il X e l’XI secolo a.C., narrando le storie e i miti sedimentati dalla tradizione orale, compose l’Odissea. Forse la Sardegna era stata descritta attraverso la vicenda dei lestrigoni, i cannibali che vivevano di fronte all’”Isola delle capre”. Qualcuno ha di recente anche azzardato un’ipotesi: potrebbe trattarsi dell’insenatura sotto Capo d’Orso (l’attuale golfo delle saline) confinante con la fitta macchia mediterranea ed i dirupi rocciosi che sovrastano Palau. Forse, Chissà!
Foto di copertina di Maurizio Artizzu
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