Si è di fronte, in questi ultimi anni, ad una riscoperta del Mediterraneo come mare d’Europa. E, per diretta discendenza, ad una “ricentralizzazione” delle città che vi s’affacciano. Seppure non sia il Mare Nostrum dell’antichità, è ridiventato quel ponte fra nord e sud del mondo, fra l’Europa e l’Africa, che la politica e l’economia di questi tempi stanno, seppur lentamente, ripristinando. La stessa Unione Europea, seppure distratta dalle molte cooptazioni dell’Est continentale e costituzionalmente “nord-centrica”, va abbozzando una sua seppur timida politica mediterranea, ritrovando legami con i popoli ed i paesi che s’affacciano sulle sponde meridionali. Perché sono molti a ritenere che ci voglia “più Europa” nel Mediterraneo.
Perché questo mare non sia più campo di divisioni, ma ritorni ad essere una realtà unitaria, come lo era ai tempi dei fenici e dei romani. Ed è propria alla storia passata che occorre richiamarsi, riportando alla memoria quanto vi hanno seminato con la loro intraprendenza le nostre repubbliche marinare che, proprio da Cagliari e con Cagliari, avevano potuto stringere importanti e solidi legami mercantili con i popoli dell’altra costa. Se poi, con lo scorrere dei secoli, quei rapporti si sono allentati e, soprattutto, sono divenute più rigide le divisioni, per via dell’onda lunga del colonialismo europeo, i tempi sono oggi molto differenti. Anche perché sono proprio i popoli della sponda meridionale del Mediterraneo che guardano all’Europa, a quei popoli europei come dei possibili liberatori delle loro miserie e delle loro indigenze. Ed è da questo richiamo che i governanti dell’U.E. vanno ricalibrando le loro politiche per l’ambiente socio-politico mediterraneo, ridando ad esso quella centralità che un tempo l’aveva fatto battezzare “mare d’Europa”.
Ora, la ripresa, da parte di Bruxelles, di un interesse allo sviluppo di questo mare europeo, non può che interessare anche Cagliari, questa città-porto che ne è stata per tanti secoli l’ombelico e, per altri versi, ne ha costituito la linea di frontiera e di cerniera fra l’oriente e l’occidente. Va da sé come sia importante che Cagliari si ponga, come obiettivi del suo sviluppo, un interesse mediterraneo. Cioè che veda nelle relazioni intermediterranee uno dei punti forti della sua crescita economica.
Non va trascurato il fatto che una collaborazione fra i paesi che vi s’affacciano è divenuto sempre di più un problema attuale, proprio perché i popoli divisi da quel braccio di mare rappresentano due delle facce del mondo d’oggi: quella del benessere e quella della povertà. Facendo sì che per le città delle sponde settentrionali divenisse un’occasione straordinaria per stabilire cooperazioni economiche, culturali e sociali.
Cagliari, proprio per la sua straordinaria posizione geografica, può essere la cerniera fra queste collaborazioni, l’efficace ponte di collegamento fra le due opposte coste.
Non c’è utopia né velleitarismo in questa prospettiva, ma un ragionato realismo. Cagliari e il Mediterraneo sono due realtà che una storia lunga millenni ha sempre messo insieme, così come le due coste, quella sarda e quella africana, hanno vissuto straordinari periodi di intensa collaborazione. E questo non soltanto negli anni punici, ma anche in pieno Ottocento allorquando molti interessi economici cagliaritani s’impiantarono in Tunisia, tanto da veder stampato a Cagliari un giornale in lingua araba, destinato a sorreggere gli interessi dei nostri corregionali in quel paese. Ed oggi si sta pensando di dare incremento e sviluppo al nostro futuro produttivo attraverso il gas metano fornitoci proprio dagli algerini.
In più occorre tener presente che le economie di quei paesi nordafricani sono in un momento particolarmente interessante, con tassi di crescita sostenuti, tanto da essere destinati a divenire, a breve, degli attori della sfida sui mercati mondiali.
Pensare quindi ad un mercato intermediterraneo, in cui s’intensifichino gli scambi e, soprattutto, prendano sempre maggiore consistenza le rotte africane con capolinea Cagliari, è certamente un’opzione assai interessante. I trecento milioni di euro che costituiscono oggi l’export che dal nostro porto raggiunge Libia e Tunisia non possono che costituire la prima base di un traffico che, secondo molti analisti, potrebbe doppiarsi, attraverso alcune iniziative ben mirate, in un solo quinquennio. Così come importanti cooperazioni tecnologiche potrebbero aprirsi in campi che in quei paesi vanno aprendosi e che richiedono supporti e tutoraggi (si pensi alla metallurgia od alla ICT) disponibili qui da noi.
Ci sono alcune considerazioni che avvalorano queste ipotesi. Nella storia delle economie mondiali, sono stati sempre i sistemi produttivi forti (pensiamo all’Inghilterra dell’Ottocento od agli USA del Novecento) a conquistare i mercati delle economie deboli, ed ancor oggi i timori per quel che può venire dalla Cina incute, anche qui da noi, timori e preoccupazioni, per via di differenti rapporti di forza.
Se dunque si dovesse pensare a dove e come espandere il sistema produttivo sardo, i paesi ad economia debole del Nord Africa paiono degli obiettivi possibili. Il mercato di riferimento per le nuove vocazioni imprenditoriali della città e dell’isola potrebbe ben essere il bacino mediterraneo dove si affacciano popoli ed economie che hanno bisogno di cooperazioni e di sostegni. E che qui da noi possono essere resi disponibili.
Ed è per questo che la “ricentralizzazione” mediterranea della politica europea, può divenire di grande aiuto. Così come Cagliari deve e può riscoprire il suo ruolo centrale nei traffici di questo mare, offrendo le sue capacità economiche e le sue vocazioni mercantili come importante “atout” per un posto di primaria importanza.
La mediterraneità di Cagliari non può essere infatti ritenuto un semplice slogan, come qualche ipercritico di scarsa fantasia ha inteso banalizzarla, ma si tratta di una convincente ed ineludibile scelta “politica”, sol che si voglia dare un futuro di progresso e di benessere alla città. Perché è proprio in questo mare il suo fattore critico di successo, e quel mare lo deve intendere come risorsa, come strumento di crescita, come vettore per raggiungere più ambiziosi traguardi.
Pensare come molti oggi fanno al potenziamento del porto, delle sue attrezzature e delle sue capacità logistiche è un qualcosa che deve accompagnarsi ad una decisa azione di riposizionamento del nostro scalo nelle rotte e nei traffici mediterranei. Cagliari non può essere un terminal portuale nazionale e neppure un semplice scalo di transito: la città, prima ancora che il suo porto, deve divenire sempre di più una generatrice ed una motrice di iniziative e di legami con le sponde meridionali del suo mare, perché si formi e si rafforzi quel mercato intermediterraneo di cui s’è detto. Andrebbe anche precisato che la cooperazione intermediterranea non può rimanere soltanto un problema politico per i commissari dell’Unione Europea: così come ha fatto Barcellona, anche Cagliari ha il diritto-dovere di intervenire attivamente in quello che potrebbe definirsi il dialogo fra differenti realtà, portando il loro patrimonio di esperienze economiche e sociali, di know-how gestionali, di capacità come erogatrici di servizi.
Si è infatti della convinzione che occorra che da Cagliari partano sempre più frequenti relazioni con i paesi che ci fronteggiano, instaurando un dialogo sempre più fitto fra le diverse culture e fra le differenti società. Perché un legame d’interscambi fra i paesi e le città del Mediterraneo non può che avere Cagliari in prima linea.
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