Negli anni venti e Trenta del secolo scorso, miliardari, uomini d’affari, attori e belle donne andavano e venivano sulle rotte dell’America sul piroscafo dei record. Salire sul Rex, il colosso dei mari, era possibile per gli emigranti. Ma solo in quarta classe, distante dalla terza, la turistica.
Il lusso connotava la nave più veloce del mondo che, dopo il varo per conto della Navigazione Generale Italiana, il primo agosto del 1931, va su e giù per gli States da fine settembre del ’32. Solo un anno dopo si aggiudica il prestigioso Blue Ribbon, il Nastro Azzurro, ambito da tutte le marinerie mercantili del mondo.
Lunga 268 metri e larga 31, con 51062 tonnellate di stazza, motore da 136000 cavalli, la Rex trasportava il grande sogno dei più ricchi ed annoiati alla velocità di quasi 30 nodi all’ora: 370 passeggeri in prima, 378 in classe speciale, 410 in turistica, 866 le masse in quarta classe. Accogliere con glamour e sbalordire, questa la mission del colosso dei mari.
Tutto era sfarzoso, gli ambienti ispirati al ‘700 in prima classe erano fiabeschi. Cristalli, candelabri in bronzo cesellato con coppe in onice, saloni delle feste in legni preziosi, specchiere avviluppate d’oro, arazzi sontuosi, stoffe in damasco e broccato, un’orgia di velluti: tutto un luminoso teatro. Marmi e ceramiche arricchivano il caffè veranda e qui le eleganti tazzine tanto amate dal mitico comandante Francesco Tarabotto che ne fece dono, secondo la leggenda, all’ingegnere navale Luigi Risso. Il super transatlantico fece sognare il mondo e accarezzò tante voglie di migliaia di ricchi annoiati e di emigranti in cerca di fortuna. Poi, allo scoppio della guerra, in fuga dai bombardamenti, giù a Trieste e poi a Capo d’Istria, dove fu colato a picco nel settembre del 1944, centrato dalle pattuglie aeree inglesi.
Non so come, ma due tazzine in ceramica, bordi blue ribbon, griffate Rex, sono finite a Dorgali. C’ho bevuto un tè inglese nella casa di campagna del collezionista ruspante Salvatore Fronteddu.
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