Secondo un’antica tradizione l’Asinara sarebbe stata forgiata dal pugno di Ercole. Per questa ragione, in età classica, veniva identificata col nome di Herculis insula. E’ certo che l’Asinara era popolata sin dal neolitico, come è comprovato dai reperti archeologici rinvenuti nelle domus de janas di Campu Perdu, e che, successivamente, fu frequentata dalle imbarcazioni fenicie e greche.
L’isola venne quindi colonizzata dai romani che la ribattezzarono Sinuaria (toponimo che ne evidenzia la forma caratterizzata da profonde insenature): di tale periodo restano pochi ruderi. Quindi, nel basso medioevo, si spopolò a causa delle incursioni arabe. Successivamente, per la sua posizione strategica, divenne oggetto di contese tra le repubbliche marinare di Genova e Pisa. In epoca giudicale fu compresa nella curatoria della Nurra ma rimase spopolata sino alla prima metà del XII secolo allorché il giudice di Torres la concesse ai monaci camaldolesi dell’abbazia pisana di San Michele in Borgo che vi fondarono l’eremo di Sant’Andrea.
La comunità di religiosi divenne centro di attrazione per molte famiglie che avviarono il popolamento dell’isola. Accanto all’eremo si svilupparono altri piccoli centri in prossimità di Cala Reale. Estinta la famiglia giudicale, i Doria inclusero l’Asinara nella Repubblica di Genova e vi fecero costruire una torre di guardia. Abbandonata dai camaldolesi, l’isola fu frequentata da comunità di pescatori che vi praticavano la pesca delle sardine. A seguito della conquista catalano-aragonese, nel 1325 venne confiscata ai Doria e, nel 1328, concessa in feudo a Gallardo di Mauleon al quale fu tolta dopo tre anni per essere concessa, con privilegio regio, alla città di Sassari come territorio di caccia e di pascolo.
Durante la sanguinosa guerra tra gli aragonesi e i giudici d’Arborea, venne occupata dalle truppe giudicali e rimase deserta. Quindi, subito dopo la battaglia di Sanluri (1409), passò nelle mani del visconte di Narbona fino al 1420, allorché tornò nella disponibilità del re. Di fatto, nel corso del XV secolo, divenne una base operativa per le flotte dei corsari barbareschi che infestavano il Mediterraneo.
Nel Cinquecento furono costruite due torri di avvistamento e difesa. Ma, nonostante ciò, non si riuscì ad impedire le frequentazioni dei corsari. Tra il 1609 e il 1610 furono costruite le altre torri di Trabucado, Cala d’Oliva e Cala d’Arena: tali fortificazioni, destinate alla difesa ed alle segnalazioni, erano armate e servite da guarnigione. Nonostante ciò la presenza dei barbareschi non si attenuò per cui il Fisco mise in discussione i privilegi che la città di Sassari vantava nell’isola al fine di infeudarla a chi fosse stato in grado di garantirne un’efficace difesa. Sassari tuttavia riuscì sempre a sventare tale disegno.
A seguito del passaggio della Sardegna e delle isole minori ai Savoia, si pensò di avviare il popolamento dell’Asinara. Un primo progetto venne avviato nel 1738 dal marchese Antonio Manca che intendeva svilupparvi una scuola professionale per trovatelli e ripopolare l’isola con comunità di pastori e contadini. Quindi nel 1768 l’Asinara venne concessa in feudo ai fratelli Velixandre, due ricchi mercanti che ottennero anche il titolo marchionale. Gli stessi avrebbero dovuto fondare una colonia ma anche questo tentativo fallì e l’anno successivo i Velixandre furono dichiarati decaduti dalla concessione.
Nel 1774 l’isola venne concessa in feudo ad Antonio Manca col titolo di duca dell’Asinara. I risultati non furono soddisfacenti anche se vi fu la fondazione di tre piccoli centri a Fornelli, Cala Reale e Cala d’Oliva. I Manca rimasero titolari dell’isola fino al 1838 allorché i feudi furono aboliti.
Nel 1885 il Governo italiano decise di destinarla a stazione internazionale di quarantena marittima e colonia penale all’aperto. Ciò rese necessario l’abbandono dell’isola da parte dei circa 200 abitanti che vi erano stanziati: contadini, pastori e pescatori (soprattutto di coralli e tonni). Quasi tutti deciso di fissare la loro dimora nella terraferma, proprio di fronte all’Asinara, nel sito detto Stintino (nome che deriva da Isthintini, termine dialettale che, riferito ai due stretti golfi, indica gli “intestini”). Con gli indennizzi ricevuti per l’esproprio, gli abitanti costruirono le loro nuove case dando vita ad una nuova comunità che venne chiamata Stintino.
All’Asinara tornò a regnare il silenzio e, oltre le sbarre del penitenziario, il vento poté soffiare indisturbato. L’isola si popolò di capre e di asinelli albini. Agli inizi del 1916 ospitò migliaia di prigionieri austro-ungarici provenienti dal fronte serbo. In tale contesto, caratterizzato dalla totale mancanza di igiene, si sviluppò un’epidemia di colera che provocò quasi mille morti. Oltre al lazzaretto, l’isola ospitava, in località Cala d’Oliva, una colonia penale agricola che, negli ultimi anni del Novecento, fu destinata a carcere di massima sicurezza per terroristi e mafiosi: poté così ospitare numerosi “detenuti eccellenti”.
Nel 1999 cessò tale funzione. Ora per l’antica “Sinuaria” si è aperto un nuovo capitolo in quanto, questa terra di lunghi silenzi, è diventata parco nazionale marino. Le sue acque cristalline costituiscono una cortina naturale a protezione di coste scoscese e frastagliate, candidi arenili e verdi dirupi di macchia mediterranea: veri e propri tesori paesaggistici di notevole valore.
La normativa del parco è finalizzata alla conservazione delle specie botaniche e faunistiche endemiche ed alla salvaguardia della morfologia e del paesaggio dell’isola. Per questa ragione le imbarcazioni a motore non possono avvicinarsi né attraccare e le escursioni sono consentite soltanto tramite le guide autorizzate. L’unica struttura ricettiva è un ostello dotato di camerate con bagni in comune e vista sulla spettacolare Cala d’Oliva, la piccola borgata in cui abitavano le famiglie dei dipendenti del carcere. La legislazione a tutela del parco costituisce sicuramente una frontiera contro il turismo di massa e la speculazione edilizia affinché l’isola continui a restare quel paradiso dominato dal raglio degli asinelli e dallo sbattere incessante delle onde, dal volo dei gabbiani e dalla pace delle distese di olivastri e ginepri.
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