Forse non tutti ne sono a conoscenza, ma i servizi marittimi regolari fra il continente e l’isola (e precisamente con il porto di Cagliari) risalgono più o meno a due secoli or sono. Fu infatti nel 1814 che una “regia goletta” cominciò a stabilire un contatto “postale” mensile fra Genova e lo scalo cagliaritano. Il primo nella nostra storia moderna.
Ed è di quel secolo XIX – così importante per i mutamenti avvenuti nell’economia, nella politica e nella società sarda – che intendiamo rievocare le vicende relative ai servizi marittimi, ed ai tanti travagli che essi ebbero sia per le difficoltà dei gestori che per le inadeguatezze del naviglio impiegato.
Secondo quanto è stato possibile ricuperare dai rari ricordi e dalle stringate cronache di quegli anni lontani, il viaggiare a bordo di quella modesta goletta militare, comportava per il passeggero il dover portare seco materasso e coperte, con il pericolo – tra l’altro assai ricorrente – di dover interrompere il viaggio (lungo di per sé circa tre settimane) in un porto della Corsica, Porto Vecchio o Bastia ad esempio.
Non a caso, proprio il giornalista Marcello Vinelli, che fu il primo direttore de “L’Unione Sarda”, in uno dei suoi ricordi storici, scrisse come non furono pochi i “sardi viaggiatori” a doversi recare da un notaio per redigere, prima dell’imbarco, …il proprio testamento!
Se dunque il viaggiare per mare non era altro che una “pericolosa avventura”, non può stupire che per tutto il 1820 – come risulta dalle cronache del tempo – furono soltanto una settantina i passeggeri in partenza da Cagliari, e non più di cento quelli in arrivo.
Soltanto quindici anni dopo, nel 1835, fu finalmente inaugurato un regolare servizio con una nave a vapore (per la precisione, la “regia nave Gulmara”) che quindicinalmente collegava Genova alternativamente con Cagliari e Porto Torres. Nonostante il miglioramento dei confort, i passeggeri trasportati in un anno non furono mai più di un migliaia (e fra essi, principalmente, erano militari e carcerati).
Al “Gulmara” fu poi affiancato (1840) anche un altro vapore, l’Ichnusa, in modo da far sì che i collegamenti divenissero settimanali. Era il segnale che la Sardegna – l’economia della Sardegna – stava risvegliandosi da un lungo sonno, e che era necessario assicurare un servizio marittimo postale più frequente e sicuro (se i dati riscontrati in una testimonianza del tempo possono esser ritenuti credibili, tra il 1830 ed il 1840 il numero di lettere fra l’isola e il continente sarebbe aumentat di quasi quindici volte!)
Da quel che si è fin qui detto, appare chiaro che quei servizi marittimi erano svolti esclusivamente da imbarcazioni della “regia marina sabauda”, perché tali erano il Gulmara e l’Ichnusa. Proprio questa situazione – l’essere cioè a totale impegno del governo questo servizio – avrebbe motivato il nascere di alcune proposte di “privatizzazione”, anche per seguire quanto avevano messo in atto i governanti borbonici del Regno delle Due Sicilie sulle linee fra Napoli, Palermo e Malta.
Per seguire proprio quest’iniziativa, val bene ricordare che proprio nel settembre del 1840 il re di Napoli aveva autorizzato l’inglese Benjamin Ingham a esercire una linea marittima fra il porto siciliano e quelli di Napoli e di Malta con un vapore a cui era dato “fregiarsi con la reale bandiera”. A quella società avrebbero apportato dei capitali anche i siciliani Vincenzo Florio e Ettore Pignatelli d’Aragona.
Sarà poi proprio Florio a capire l’importanza del business delle linee marittime “postali”, tanto da aver profittato delle sue buone entrature con il re Ferdinando II per convincere quel suo governo a dare in concessione a privati l’esercizio delle comunicazioni marittime (al concessionario sarebbe spettato il 20 per cento delle tasse postali).
Su questa linea, si sarebbe mosso anche quel gruppo di mercanti genovesi che la storia ha voluto definire come un vero “trust”, una sorta di cricca che, protetta dai governanti piemontesi, sarebbe riuscita a far man bassa delle concessioni nei servizi pubblici isolani (dal servizio delle diligenze ai siti minerari ed alle linee di navigazione).
Saranno proprio i genovesi Rubattino (la società operava sotto il nome di “Delucchi, Rubattino & C.”) ad ottenere nel 1859 la privativa dei servizi “postali” con la Sardegna, impiegandovi diversi battelli, di cui alcuni, come il Lombardo ed il Virgilio erano a ruote, e due – il Piemonte ed il Cagliari – erano ad elica, anche se avevano un lungo passato nella marineria britannica. Il viaggiare su quei legni era comunque assai disagevole, anche perché non esistevano delle cabine, ma i passeggeri erano ricoverati in un salone con delle cuccette su cui “ci sin arrampicava con delle vere prove di acrobazia”, come è nei ricordi dei vecchi di casa.
Per la verità, nonostante le non rare disavventure, con i servizi della “Rubattino” il traffico passeggeri fra Cagliari ed i porti continentali (in primis Genova) ebbe un trend di crescita assai notevole, dato che già nel 1861 (l’anno dell’Unità nazionale) furono oltre ventimila i passeggeri che viaggiarono sulle imbarcazioni dell’armatore genovese.
Con la costituzione del Regno d’Italia, molti nodi – specie quelli legati al sistema dei trasporti – sarebbero venuti al pettine: nord, centro, sud e isole avevano necessità d’essere collegate con nuovi servizi marittimi e terrestri. Ferrovie e linee marittime entrarono quindi di prepotenza nell’agenda del governo, ed il ministro Baccarini si trovò di fronte ad un compito non facile.
Tra l’altro, i conti gestionali della Rubattino erano colorati di un rosso intenso, e lo stesso patron, Raffaele, era disposto ad ammainare la bandiera – con la rossa croce su fondo bianco – della sua compagnia. Non diversamente si trovava la “Florio” che già da tempo andava pressando il governo “nazionale” perché sovvenzionasse con aiuti più consistenti le linee postali.
Accadde quindi (1881) che il ministro Baccarini promosse e favorì la fusione fra Rubattino e Florio, in modo da dar vita alla “Navigazione Generale Italiana”, una compagnia a cui concedere l’intera rete dei collegamenti marittimi d’interesse pubblico.
‹In quella congiuntura Rubattino non sapeva che fare – ha scritto Simone Candela in un interessante saggio storico sulla saga dei Florio – anche se non gli dispiaceva unirsi ai Florio. Purtroppo il disordine finanziario in cui si trovava gli rendeva difficile ogni iniziativa. Godeva certamente di grande prestigio negli ambienti industriali genovesi ma un’amministrazione poco oculata lo costringevano a navigare “in mezzo a scogli finanziari perenni”. A fronte di tutto questo c’era un Ignazio Florio “ricco e arcimilionario”. In più Florio voleva la sede della nuova società a Palermo, mentre per Rubattino Genova aveva “la preminenza morale perché il cuore ed il centro commerciale della nuova Italia sarebbe stato sempre sotto la Lanterna”›.
Ma, nonostante tante differenze d’opinioni (e di valenza patrimoniali) il 28 marzo 1881 venne siglato l’atto di fusione tra i due armatori “in una sola e potente società anonima”. Che ebbe, peraltro, l’appoggio del potente “Credito mobiliare”, la grande banca d’affari guidata da Domenico Balduino (se può essere d’interesse, gli apporti di Rubattino furono di 25 milioni e mezzo di lire e quelli di Florio di quasi 32 milioni).
Le procedure per la fusione, e per gli impegni che in essa erano stati presi, proprio per volontà del ministro Baccarini, ebbe anche l’approvazione del Parlamento, trattandosi di fatto – come si disse nella relazione governativa – “di primario interesse nazionale”. Per la verità la nuova compagnia era veramente “grande”, potendo contare su una flotta di quasi 90 piroscafi.
La “Navigazione Generale” – pur nata tra tanti travagli e non poche critiche – avrebbe potenziato i servizi marittimi dell’isola. Il più importante fu quello della giornaliera Golfo Aranci-Civitavecchia, ma altri collegamenti furono istituiti con Tunisi, Genova, Palermo e Napoli a cadenza settimanale.
Tanto per dare un quadro di queste nuove linee, si segnala come la Genova –Cagliari-Tunisi facesse scalo anche a Livorno, con partenza il giovedì alle 21 dal porto genovese, l’arrivo a Livorno il venerdi alle 5,15, quello a Cagliari la domenica alle 5,30 e infine l’approdo a Tunisi il lunedì alle 11.
Un’altra linea, anch’essa settimanale, collegava Genova con Civitavecchia e Cagliari, con partenza dallo scalo ligure la domenica alle 21, toccando poi i porti di Livorno, Porto Ferraio, Civitavecchia, Golfo Aranci, Terranova, Siniscola, Orosei, Dorgali, Arbatax, Muravera per giungere a Cagliari il il giovedì successivo alle 9,45.
Purtroppo, come ne scrissero i giornali del tempo, proprio la linea più frequentata – la giornaliera per Civitavecchia – fu maltrattata dalla nuova compagnia, per avervi immesso due piroscafi, il Flavio Gioia e l’Amerigo Vespucci, su cui i confort del viaggiare e della ricettività erano solo delle pie illusioni (qualcuno scrisse di 12 ore di sofferenze…).
Ma, ad onta di queste deficienze, il traffico passeggeri alla fine del secolo XIX, ebbe una straordinaria impennata rasentando, come si scrisse, i centomila passaggi.
Anche il secolo successivo – il Novecento – ebbe una serie di cambiamenti radicali nell’esercizio delle nostre linee marittime, anche se, per dire il vero, ad ogni mutamento di gestore non avrebbe corrisposto un miglioramento dei servizi.
E quel che va accadendo oggi con la telenovela della “Tirrenia” ne può essere la controprova.
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