La spiaggia di Piscinas sembra un miraggio dopo aver percorso i chilometri di strada bianca che la separano da Montevecchio. Un suggestivo paese abbarbicato su un monte, Senna Serapis, circondato dagli edifici della vecchia miniera, oggi monumenti di archeologia industriale ma in attività fino agli anni della seconda guerra mondiale.
Il borgo era fornito di tutto: la mensa, la scuola, il dopolavoro, il cineteatro e persino l’ospedale, il più all’avanguardia dell’isola. Qualcuno racconta che ci fossero un sistema per il ricambio dell’aria e un sistema di binari per il trasporto delle brandine dei degenti, che potevano essere spostate così senza disturbare gli altri pazienti. E oggi è diventato cornice di iniziative culturali di grande importanza come il Cantiere di lavoro teatrale-Festival di Montevecchio, che fino a qualche anno fa animava le estati del paese.
Da questo borgo circondato di boschi parte una strada a tratti dissestata e assolata, il che la rende più lunga, tanto che a chi la percorre la prima volta può venire il dubbio di aver sbagliato, di essersi inoltrato tra i monti. Tra la nebbia di polvere sollevata dalle auto si intravedono i ruderi delle strutture minerarie, disseminati, alcuni ormai quasi ingoiati dalla vegetazione.
Erano i pozzi e legallerie dei Cantieri di Ponente della miniera di Ingurtosu, attiva dai primi anni dell’Otto- cento fino al 1964. Un borgo minerario a pochi chilometri dal mare di cui si possono ancora ammirare la Direzione della Miniera e la Laveria Brassey, dal nome del nobile inglese proprietario della miniera intorno al 1900, quando venne costruita.
Alcuni edifici sono stati ristrutturati e ospitano oggi bar, pizzerie e altri locali commerciali, e lungo la discesa che porta alla spiaggia si trova il Pozzo Gal, in cui venivano estratti piombo e zinco e che oggi è stato trasformato in un centro espositivo dedicato al lavoro operaio con il museo multimediale della Miniera.
ECCO LA SPIAGGIA, due chilometri di dune di sabbia, le più estese d’Europa, dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’umanità. Da questo affascinante assaggio di deserto il viaggio riprende in salita, lungo la strada della Laveria Brassey, poi verso Fluminimaggiore e da lì verso Buggerru. Un paese oggi vivace, animato dai tanti turisti che passeggiano nelle sere estive intorno ai porticciolo, dominato dai camminamenti esterni della Galleria Henry e dalla Laveria costruita sul porto.
Erano strutture molto all’avanguardia, la Galleria col suo percorso dalle imponenti dimensioni interamente ricavato nella roccia, dove passavano le locomotive cariche di materiali, e la Laveria, dove venivano lavorate 300 tonnellate di materiale grezzo in 10 ore.
Allora il centro contava oltre cinque mila abitanti, cinque volte il numero attuale: era infatti uno dei centri minerari più importanti della zona, sede operativa della Società des mines de Malfidano di Parigi e soprannominato “Petit Paris” perché i dirigenti che vi si erano trasferiti con le famiglie vi avevano riprodotto un pezzettino del clima culturale della capitale francese: cinema, teatro e circolo culturale riservato.
MA BUGGERRU NON È FAMOSA SOLO PER QUESTO, ma per essere stato l’epicentro di un terremoto che ha segnato la storia del lavoro in Italia. Mentre l’élite dirigenziale trascorreva una vita comoda nella sua piccola Parigi, i minatori lavoravano in condizioni disumane, sottopagati e costretti a turni massacranti, sottoposti al continuo rischio di incidenti mortali, molto frequenti in quegli anni.
Nel 1904 il trattamento a loro imposto dalla Società venne inasprito e i minatori si rifiutarono di lavorare, presentando le loro istanze ai dirigenti francesi. In risposta questi chiamarono l’esercito, che sparò sugli operai uccidendone tre e ferendone molti altri. Era il 4 settembre 1904 e l’”Eccidio di Buggerru” scatenò il primo sciopero generale in Italia.
Oggi è possibile visitare il Museo Civico, sorto all’interno del paese nell’edificio che un tempo ospitava l’Officina Meccanica: qui i macchinari e gli attrezzi minerari della Torneria, della Saldatura e della Fucina ricordano il tempo dello straordinario sviluppo economico della zona e permettono di entrare nella vita quotidiana dei lavoratori dell’epoca.
IL VIAGGIO CONTINUA LUNGO LA STRADA COSTIERA, passando vicino alla splendida baia di Cala Domestica, alla volta del paese di Nebida, circondato dai resti della miniera. Passeggiando lungo il Belvedere si può ammirare il rudere della Laveria Lamarmora, costruita sulla scogliera a picco sul mare. Un gioiello di architettura industriale mai entrato in funzione.
Lungo la costa cinque faraglioni calcarei si ergono sul mare: sono lo scoglio dei Morto, quello di Porto Nebida, detto anche “il veliero”, i due scogli S’Agu- steri davanti alla spiaggia di Porto Banda, e in lontananza il famoso Pan di Zucchero.
La strada costiera prosegue e voltata una curva si apre un panorama mozzafiato, uno dei tanti spettacoli naturali della Sardegna: la piccola baia con il paesino di Masua, dominata dal faraglione di Pan di Zucchero, maestoso e isolato in mare a pochi metri dalla spiaggia.
TOTALMENTE NASCOSTO alla vista di chi vi giunge da terra è il sito di Porto Flavia, punta di diamante dell’ingegneria mineraria di epoca fascista, la cui uscita è visibile solo dal mare. Il suo nome è quello della figlia del progettista, l’ingegner Cesare Vecelli che lo progettò nel 1924 per risolvere i problemi logistici della miniera di Masua. Per la sua posizione, infatti, il carico dei materiali destinati alle fonderie del Nord Europa risultava particolarmente lungo e dispendioso.
L’ingegnere e direttore del sito creò allora un sistema innovativo con un porto a picco sul mare. All’interno del promontorio il materiale veniva stoccato nei silos sotterranei ricavati nella roccia e affluiva poi su un nastro trasportatore direttamente nella stiva delle navi, attraccate di fronte al promontorio. Un sistema fra i pochi al mondo, che permetteva il carico di una nave mercantile in pochi giorni, contro i sette, otto giorni necessari con i metodi tradizionali.
Porto Flavia è oggi visitabile con un’escursione guidata adatta a tutti. Questo tesoro di mare, natura, storia e ingegneria è custodito dal Parco Geominerario, Ambientale e Storico della Sardegna, che riunisce e tutela tutte le biodiversità presenti nel territorio e le specificità antropologiche, industriali, geologiche e paesaggistiche prodotte nel corso di otto mila anni di sfruttamento minerario dell’isola. Un’idea nata nel 1975, poi ampliata e portata avanti grazie alla volontà e all’attività del Comitato promotore del Parco, ma riconosciuta a livello istituzionale solo nella seconda metà degli anni Novanta con il coinvolgimento dell’Ente Minerario Sardo e il riconoscimento dell’UNESCO.
Risale al 2001, con un notevole ritardo, la firma del Decreto Istitutivo del Parco da parte del Ministero per l’Ambiente. Da allora le attività sono affidate a un Consorzio che riunisce il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, dal Ministero delle Attività Produttive, dal Ministero dell’istruzione, dal Ministero per I Beni e le Attività Culturali, dalla Regione Autonoma della Sardegna, dalle Province e dai Comuni interessati e dalle Università di Cagliari e di Sassari.
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