A Cagliari, nella suggestiva cornice della Cittadella dei Musei, é possibile ammirare la collezione d’arte siamese donata nel 1917 da Stefano Cardu al Comune.
L’interessante raccolta comprende 1306 pezzi: armi, bronzi, avori, porcellane e maioliche, argenteria, monete risalenti persino all’XI secolo (periodo “Sung”), medaglie, libri, divinità, statuette (in avorio, bronzo e argento), strumenti musicali, arredi e trofei. Causa la ristrettezza degli spazi, peraltro, nel padiglione sono esposti solo circa 700 pezzi.
Il fascino e la ricchezza degli oggetti, provenienti in prevalenza dal Siam (ben 816 pezzi), risulta di tutta evidenza. Si tratta di manufatti – prodotti in diverse epoche storiche – che costituiscono un’importante testimonianza della vita, delle credenze e dei costumi di quei popoli orientali. Infatti, accanto a oggetti d’arte di tema religioso, sono esposti manufatti d’uso domestico che documentano l’elevato livello dell’artigianato dell’Estremo Oriente (non solo di produzione siamese ma anche di Cina, Malesia, Giappone, Laos, Birmania, ecc.).
Attraverso tali oggetti ci vengono tramandati i segni di una cultura assai originale e suggestiva. Si pensi alle pipe di radica scolpita utilizzate per fumare l’oppio, ai ventagli e ai porta profumi, ai libri miniati contenenti nozioni di medicina e astrologia ma anche formule magiche, esorcismi e preghiere.
E ancora alle statuette in avorio che raffigurano scene di lotta tra rane e scimmie ispirate alle antiche favole giapponesi. E infine al “culto” per le armi che ha determinato, nei diversi secoli e nel mutare delle dinastie, la produzione di veri e propri capolavori: circa duecento sono le armi da taglio esposte nella Cittadella. Nel complesso la bellezza di forme, qualità, decorazioni, smalti e ornati esprime una raffinata manifestazione d’arte unita a tecniche di altissimo livello.
Si segnalano le stupende porcellane del periodo “Ming”, le accurate lavorazioni d’avorio, i preziosi foderi di katana incrostati di madreperla, i delicati bronzetti indiani, cinesi e siamesi. Ma i pezzi di maggior pregio sono il vaso di porcellana cinese istoriato a colori con scene guerresche, la coppa d’argento a disegni su fondo smaltato in nero, il vaso porta profumi di porcellana siamese con coperchio decorato con figure sacre, il vaso portafi ori in crakelé bianco cinese di forma cilindrica con figure di draghi in rilievo, la statuetta di bronzo dorato raffigurante Buddha ritto in posizione oratoria, la sciabola giapponese con guaina e impugnatura d’avorio e incrostazioni di madreperla colorata raffiguranti uccelli e diorami, la teiera siamese in argento massiccio dorato decorata da figure mitologiche sacre col coperchio a forma di pagoda, la statua in avorio di Buddha sdraiato su un piedistallo ligneo, la campana siamese di bronzo per tempio buddhista, il leone mitologico in avorio.
La collezione, oltre che per lo straordinario valore economico di alcuni pezzi che la compongono, assume interesse anche avuto riguardo alle singolari vicende del protagonista dell’insolita operazione culturale: Stefano Cardu. Un personaggio che trascorse una vita intensa fatta di emozioni e soddisfazioni, di rischi e successi, ma anche di delusioni e amarezze.
Il donatore della collezione siamese era nato a Cagliari il 18 novembre 1849 da una famiglia di artigiani. Venne avviato agli studi nautici che interruppe quasi subito per prendere la strada del mare: all’età di quindici anni tentò la fortuna imbarcandosi come mozzo in un mercantile. Nonostante il duro lavoro, studiò e conseguì la patente di capitano di gran cabotaggio. Quindi, con una barca a vela, solcò gli oceani per dieci anni senza neppure l’interruzione per il servizio militare (essendo unico figlio maschio). Nel 1874 naufragò sulle coste del Siam (attuale Thailandia) e giunse a Bangkok ove si stabilì lasciando alle spalle i pericoli del mare.
Spirito aperto e cosmopolita, entrò da subito in sintonia esistenziale ed estetica col Siam ove trascorse più di vent’anni. Fu il primo italiano a stabilirsi in tale terra. Imparò ben prestò la lingua siamese anche se parlava correttamente sia l’inglese che il francese. Avendo notevole predisposizione per il disegno tecnico, lavorò per un breve periodo presso un ricco costruttore edile inglese. Quindi si mise in proprio allestendo una segheria ed esercitando l’attività edile. La Corte del Siam gli affidò diversi incarichi per la costruzione di strade e ponti e gli attribuì anche la realizzazione di alcune opere riguardanti il Palazzo Reale di Bangkok. Dopo breve tempo acquistò ricchezza e potenza entrando in rapporti di confidenza con principi e ministri.
Divenne un profondo conoscitore della storia e dell’arte orientale e, gradualmente, costituì una precisa collezione attraverso acquisti e soprattutto regali, ricevuti in particolare da donne. Si dice che Stefano Cardu – di notevole statura (era alto mt. 1,85), di bell’aspetto,
intelligente e dai modi gentili e garbati – esercitò grande influenza sulle dame di Corte: ciò spiega la notevole quantità di oggetti di origine principesca ricompresi nella collezione. Il nucleo degli oggetti siamesi é così consistente da costituire una novità per i musei d’arte orientale italiani ed europei e rappresenta un punto di riferimento di grande importanza per gli studiosi del settore.
Dopo oltre vent’anni di permanenza nel Siam, Stefano Cardu fece rientro in Europa. Soggiornò a Parigi, poi per qualche tempo a Londra; successivamente viaggiò per l’Inghilterra, la Francia e l’Italia finché nel 1900 ritornò a Cagliari. Dopo qualche anno acquistò una vasta tenuta, sita in agro di Capoterra, denominata “Sa Tanca ‘e Nissa”, che la Banca d’Italia aveva messo all’asta. L’iniziativa, nonostante il notevole impegno profuso, non ebbe successo e nel 1913 Stefano Cardu dovette cederla.
Orgoglioso della sua preziosa collezione d’arte, resistette alle allettanti offerte formulate dal Museo di Londra per l’acquisto. Nel 1917, con nobiltà d’animo, essendo tra l’altro amico del sindaco Bacaredda, la donò al Comune di Cagliari. Ad essere più precisi solo una parte della collezione venne donata mentre la restante fu acquistata dal Comune nel 1923 a seguito di una transazione. Si giunse così ai 1306 pezzi dettagliatamente catalogati dal prof. Gildo Fossati dell’Università di Genova.
Successivamente Stefano Cardu si dedicò al commercio delle automobili, attività che lo portò alla miseria. Non accettando di dover vivere nella sua città, tra l’ingratitudine e l’indifferenza di quanti avevano beneficiato della sua generosità, il vecchio marinaio si trasferì presso la casa del genero a Roma dove morì il 16 novembre del 1933, all’età di 84 anni.
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