Si nasce unici per caso: solamente alcuni proseguono a esserlo.
La conoscenza è ciò che rimane nella memoria quando avete dimenticato tutto. Come dire, il diploma da vero maestro si ottiene andando in campo.
È il momento in cui dopo le delusioni degli ultimi europei, c’è la necessità di tornare all’insegnamento dei fondamentali.
Ci vogliono veri maestri come Gianni Laconi, “pieno di sapere, di valori e di umiltà, maestro senza orizzonti“ passato attraverso attività in campo in quel lungo cammino nel settore giovanile in evoluzione. Insegnamento dedicato ai giovani calciatori, curando la tecnica calcistica in tutti i suoi particolari facendo perno sulla componente presa di coscienza di un calcio giocato con la testa, perché per crescere non bastano solamente le gambe “.
Qualcosa deve pur cambiare i vivai hanno bisogno di marciare. Lo dimostrano le osservazioni dei commentatori qualificati che auspicano la scoperta in Italia di altri campioni.
È il periodo in cui i giovani calciatori aspirano ad arrivare a essere i nuovi gladiatori, accendendo il livello emotivo conforme al rito del prevalere per ottenere la gloria, sapendo che non c’è niente come un sogno per creare il futuro: alla maniera di “arma il pallone e come preda la porta”.
È all’ombra un uomo eccezionale, come Cenzo Soro da me sempre definito “ mio maestro di vita “, che iniziai a collaborare, avendo anche l’occasione di incontrare e conoscere Gianni Laconi, altro Maestro che, di lì a poco, a seguire la nascita del Centro Addestramento Cagliari calcio “Gigi Riva, faceva venire alla luce la “Scuola Calcio Johannes”, così battezzata, introducendo un neologismo, terminologia finora non usata nel mondo del calcio giovanile, motivata e da proporre attraverso un insegnamento di configurazione scolastica.
Faccio questa citazione perché l’amico Gianni Laconi era a stretto contatto e, sempre all’ombra dello straordinario Maestro, rinforzando quell’identità acquisita sul campo che lo avrebbe poi fatto diventare da braccio destro fedele sempre a disposizione, a Maestro senza orizzonti.
“L’esempio ha più valore di mille parole” è il motto, arguto e sicuramente piacevole, da me trasformato in sapere saper fare e saper far fare, chi sa fa, chi non sa non fa. Quasi un grido di protesta per incitare la componente allenatori, soprattutto dei giovani, a partire dai Corsi Federali curati dal Settore Tecnico di Coverciano della Figc, nei quali ho avuto l’onore di insegnare, per oltre alcuni decenni, la tecnica calcistica teorica e pratica. “Fare, saper fare, saper far fare”, come principio indispensabile per contribuire a trasmettere quelle acquisizioni, il bagaglio basato sulla esperienza, utili a definire il vissuto esperienziale. “Il processo attraverso il quale la conoscenza si forma tramite la trasformazione dell’esperienza” (David Kolb), che consente inoltre di sviluppare le proprie abilità di “problem solving”, anche attraverso l’abilità creativa. Come dire: il diploma da vero maestro si ottiene andando in campo.
L’importanza dell’esempio che vale più di mille parole ha cominciato a significare che il calcio non può essere visto solo in funzione del risultato. Il frutto di questo modo di essere operativi cominciava a dare frutti insperati con i giovani che uscivano dalle scuole calcio e che ambivano a raggiungere quell’esempio mutuato dai grossi campioni che venivano dal basso per arrivare ai massimi livelli. Cogliamo l’occasione di ricordare che lo stimolo veniva da nomi illustri che non ci sono più e che hanno fatto la storia del calcio: in casa nostra Gigi Riva, Claudio Nenè virtuosi dal punto di vista tecnico e umano, ma anche gli umili Mario Martiradonna, Giulio Zignoli, Cesare Poli portatori d’acqua. Per citare un esempio ancora in vita sento di voler indicare il nome di un campione come Ricciotti Greatti, talento venuto dal basso, che aveva e ha il calcio dentro, che a suo tempo è vissuto di calcio, integerrimo ed educato all’impegno, buone maniere e onestà, principi alla base dell’etica sportiva, la maniera migliore per avere successo da cui aspettare un solo riconoscimento, il diploma di maestro che, tradotto in pratica, significa che “non si nasce unici per caso”.
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