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“La sposa nel vento” di Giovanni Coda, una trilogia sulla violenza di genere_di Simonetta Columbu

Ciao Giovanni, il tuo lavoro “La sposa nel vento” tratta dei temi molto importanti: la violenza di genere.

Come è nata l’idea?

Il progetto nasce da un mio spettacolo teatrale, prodotto dall’Asmed, che si intitolava “Il Rosa Nudo” ispirato alla storia del francese Pierre Seel, deportato omosessuale durante la seconda guerra mondiale. Una storia drammatica e particolarmente complessa per le implicazioni non solo legate alla guerra e alla deportazione, ma soprattutto per i successivi e devastanti eventi accaduti a Seel dopo la liberazione. Nacque così l’esigenza di una trilogia sulla violenza di genere che prese il via dal film omonimo del 2013 e proseguì con Bullied to Death (ispirato alla storia di Jamie Rodemayer e il bullismo omofobico) per approdare alle tematiche del femminicidio con La sposa nel vento – che di fatto conclude la trilogia.

Assunta Pittaluga in “Il rosa nudo”
Gianni Dettori in “Il rosa nudo”

Le protagoniste sono un gruppo di donne. Come è stato lavorare con loro?

Tutto si è svolto in perfetta armonia e in soli quindici giorni di riprese il film è stato realizzato. Sul set ho avuto l’onore di lavorare accanto alla grande Serra Yilmaz che ha prestato la sua voce, e il suo volto, al dolore delle donne raccontate nel film.

Qual è la storia del film?

La sceneggiatura è composta da documenti, articoli e testi che riassumono un periodo di violenze a partire dall’omicidio della Beata Antonia Mesina (Orgosolo 1935) fino ai giorni nostri. La caratteristica del film è la coralità narrativa unita a quella recitativa.

Cinema, ricerca, teatro, danza, sperimentazione. Anche improvvisazione?

Sicuramente. I miei attori e attrici hanno sempre un margine di manovra legato alla loro esperienza e al loro talento. Sarebbe impossibile il contrario, visto anche l’impianto registico che porto avanti da ormai trentacinque anni (l’anno prossimo). Detto ciò, resta il fatto che nei miei set dimorano rigore e creatività in parti uguali ed io stesso, alla fine dei conti, eseguo una performance nel dirigere il film e nel rapporto con l’intera troupe.

La danza può essere catarsi?

La danza è un linguaggio che di per sé parla tutte le altre lingue. L’ibridazione con il cinema mi offre l’opportunità di creare un ulteriore forma di linguaggio che si posiziona al vertice del mio modo di comunicare. Unendo ulteriori forme d’arte come la musica, la poesia e la performing art sublimo una forma di comunicazione diretta e universalmente comprensibile.

Hai nuovi progetti in cantiere? 


Al momento sto lavorando ad un progetto cine-fotografico legato a un’esperienza umanitaria vissuta in Bangladesh attraverso il gruppo di Farmacisti nel Mondo OdV. Ho realizzato una collezione fotografica che debutterà nella primavera del 2025 e un documentario che seguirà il percorso della collezione. In contemporanea è iniziata la fase produttiva del progetto documentaristico La distanza di un sogno sui flussi migratori che hanno visto il popolo sardo migrare in terra australiana.

Hai vinto tantissimi premi. Ne sei felice?

Sono soddisfatto, questo sicuramente. Soprattutto dei risultati ottenuti dal film nell’ultimo festival – Global Nonviolent Film Festival – dove abbiamo ottenuto risultati importantissimi. I premi sono tanti, ma non sono la parte più importante del mio lavoro, che invece si realizza nei contatti e nelle linee di comunicazione che si creano frequentando il mondo cinematografico, soprattutto quello indipendente. Tra i tanti mi piace ricordare il Social Justice Film Festival, vinto da concorrente nel 2013 a Seattle e che oggi mi vede parte dell’Advisor Council del Festival e componente di Giuria.

Qual è, secondo te, la ricchezza del film?

La ricchezza risiede nella sua forma di comunicazione universale. È un film che, nonostante la drammaticità degli eventi, mantiene un filo di speranza, uno spiraglio che si concretizza nelle ultime scene che vedono coinvolto l’attore Lorenzo Balducci (che interpreta Anton Julio Mella) intento a scrivere una lettera d’amore indirizzata a Tina Modotti.

Grazie Giovanni, e complimenti! 

In copertina Sara Scioni e Rachele Montis in “La sposa nel vento”