Mario Fabiani, la sua voce bella, potente e particolare, la sua creatività che spaziava dalle parole alla musica, unite in una armonia inconfondibile.
Non voglio raccontare della sua carriera, della sua notorietà, della sua vita artistica, voglio ricordare di Mario Fabiani la persona, l’uomo, che, incontrato per la strada, era sempre “uno di noi”.
Ho il ricordo di quando vidi per la prima volta, Mario Macciocco (in arte Mario Fabiani); non lo conoscevo ancora come cantante, ai suoi esordi (aveva allora 25 anni), quando si presentò alla mia porta quella notte di Capodanno del 1980.
Nell’occasione avevo organizzato un intrattenimento in casa con pochi amici e pochi parenti, per trascorrere l’ultimo dell’anno senza troppa baldoria e in buona compagnia; ad un antico pianoforte a parete si alternavano due cari amici allorquando giunse la telefonata di mio fratello Mauro per avvertirmi che, prima dello scocco della mezzanotte, sarebbe arrivato con un paio di amici e una chitarra.
Puntuali, al suono del campanello, mi trovai di fronte questo giovane, alto, bello, un sorriso solare, radioso, un viso pulito con uno sguardo profondo che esprimeva tanta bontà, “io sono Mario…” mi disse, teneva tra le mani una chitarra e di li a poco fu gran festa, perché incominciò a suonare e a cantare rendendo quel Capodanno per me unico ed indimenticabile.
Da quel giorno, con il Nuovo Anno, nacque tra noi una gran bella amicizia, uniti anche da relazioni familiari.
Posso dire che vi è stato tra noi un lungo percorso di vita per oltre quarant’anni, vedendolo crescere, diventare famoso ed affermarsi in ciò che amava tanto: cantare le sue poesie e suonare la sua musica.
Trascorse poco tempo da quel giorno, quando volle incontrarmi per darmi il suo primo disco e per dirmi che sarebbe stato ospite nella trasmissione, all’epoca nota e molto seguita, di Raffaella Carrà.
Difficilmente lo si sentiva cantare in cover, preferiva cantare solo e soltanto le sue “creature”.
Lo chiamavo il “gigante buono”, perché rare erano la sua bontà e la sua semplicità, altruista e generoso; del suo lavoro e dei suoi successi faceva spesso strumento di beneficenza.
Molto legato alla famiglia, ai due figli, Francesca ed Alessandro, alla compagna e moglie Luisa, si dilettava a cantare e a suonare nelle sue piazze e nelle sue strade; sua non era l’ambizione; la sua creatività di musicista e di cantautore non erano passati inosservati in quell’epoca degli anni 70’ e 80’; eppure, nonostante non gli fossero mancate le occasioni, amava così tanto la Sardegna da non voler varcare il Tirreno per inseguire più ambìti successi e notorietà.
Era sempre disponibile, mai l’ho sentito vantarsi o visto assumere atteggiamenti di supponenza o superiorità.
Con un senso dell’amicizia, ormai raro, mi ha dedicato tanto del suo prezioso tempo per darmi, invano, lezioni di chitarra, e, con tanta pazienza, lezioni di canto, trascorrendo insieme ad inseguire le note musicali per intere serate.
Ha donato anche la sua musica ad alcuni miei versi per una delle sue ultime canzoni, “Volo”, dedicata al compianto Agostino Castelli, al quale era legato, e ricambiato, da tanta simpatia e affetto.
Da lì a poco è iniziata la sua battaglia per la vita, affrontata con grande forza e coraggio, da guerriero, e con tanta serenità, continuando a dedicarsi alla sua musica e agli altri.
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