In principio era la costa della Gallura, selvaggia ed inviolata, con i suoi graniti lavorati dai venti e dal mare, le sue spiagge nascoste, la sua flora e la sua fauna tutte da scoprire…
Su questi argomenti sono corsi negli ultimi decenni fiumi di inchiostro e la vasta produzione di pittori, cineasti e fotografi ne ha assicurato il dovuto corredo iconografico.
Mi piace ricordare, tra i tanti scritti sull’argomento, il sintetico eppur completo resoconto redatto dal dr. Giuseppe K. Montasti sulle sue prime spedizioni in questi mari ed i ricordi della cara signora Giséle Podbielski; si coglie in questi scritti, oltre al doveroso omaggio alle attrattive naturali della Gallura, anche un interessamento verso la popolazione della zona e le sue usanze che, pur non essendo espresso nel rispetto dei dettami dell’antropologia culturale, ci ha permesso di acquisire preziose informazioni su questi argomenti. E un giorno… “un principe venuto dal mare…” (mons. Grimaldi; inaugurazione della Club House del Pevero Golf Club.) scoprì un angolo di questa Costa e se ne innamorò al punto da farne per lungo tempo il fulcro dei suoi interessi spirituali e temporali.
Inutile dire che, essendo la stirpe di questo principe nel mirino della stampa ormai da generazioni, la cosa non passò inosservata e ben presto sulle sue orme giunsero i rappresentanti di quella Corte che volente o nolente un principe si trova sempre attorno.
Non importa da quale ambiente provenissero queste persone, quale fosse stata la ragione che li aveva attirati sulle orme dell’Aga Khan, anche la più inconfessabile passò, per la maggior parte di essi, in seconda linea per cedere il passo a quella sindrome che Marcello Serra aveva da tempo battezzato “mal di Sardegna”.
Speculatori o aspiranti tali, professionisti del turismo, mondani e gaudenti soggiacquero ben presto alla malìa di quella natura così simile, per certi versi, a quella di molti altri posti ma che di questi conteneva tutte le caratteristiche concentrate ed esaltate con un quid indefinibile di più.
Questo manipolo di pionieri, pur senza perdere di vista gli scopi per i quali era approdato a queste sponde, subì una trasformazione, oserei dire una catarsi.
I suoi componenti si trasformarono rapidamente in esteti, ecologisti e, soprattutto, in asceti.
Quest’ultimo aggettivo si attaglia perfettamente a coloro che, mentre squadre di operai lavoravano giorno e notte per erigere le prime strutture murarie pubbliche e private, si adattarono a vivere nei pochi stazzi disponibili o a sistemazioni ancor più precarie, per vivere la gestazione e la nascita di quella che ancor oggi è considerata il cuore della Costa: la Costa Smeralda.
Racconta Cisóie Podbielski, che ha vissuto e registrato nel suo cuore il ricordo di questi esordi, che poco o nulla valsero a scoraggiare questi conquistadores conquistati la mancanza di energia elettrica, di acqua, la scarsità di vie di comunicazione, per lo più polverosi o fangosi sterrati, verso gli avamposti della civiltà ove procacciarsi generi di prima necessità e magari piangere calde lacrime di nostalgia davanti al frigorifero di una salumeria o di un bar.
Naturalmente l’acqua non mancava realmente: bastava andarsela a prendere, percorrendo gli stretti sentieri tracciati dal cinghiale attraverso l’odorosa macchia mediterranea caratterizzata in prevalenza dalla gialla e spinosissima ginestra selvatica.
Anche la mancanza di energia elettrica non costituiva un grosso problema, in fondo bastava abituarsi ad una dieta a base di cibi in scatola e di bevande a temperatura ambiente.
Ma lasciamo l’approfondimento di questi interessanti argomenti a studiosi qualificati e accreditati per prendere in considerazione quello che per decenni è stato l’oggetto della mia malsana curiosità professionale: \’homo ludicus.
Homo ludicus è l’uomo che giucca, che si diverte e diverte, assolutamente disinteressato a tutto ciò che è serio ma seriamente interessato a tutto ciò che non lo è e, al limite, fortemente portato a spogliare di ogni serietà qualunque cosa ne sia affetta e solletichi il suo interesse.
Volendo evitare che colui che sarà il protagonista indiscusso di questo libro venga marchiato indelebilmente come un mostro di leggerezza e irresponsabilità, sarà il caso di esporre alcuni concetti basilari che normalmente sfuggono, forse per una endemica carenza di esami introspettivi, al volgo e all’inclita.
L’essere umano è fondamentalmente un naufrago, il superstite di un cataclisma cosmico che qualcuno ancora si ostina a chiamare Creazione, abbandonato nudo e indifeso su un bolide lanciato a velocità pazzesca in mezzo ad una miriade di corpi contundenti altrettanto veloci e incatenato da un mirabile equilibrio di forze ad una spa- • ventosa fornace atomica che gli garantisce luce e calore nonché la prospettiva più o meno prossima, in termini di milioni d’anni, di uno spettacolare fuoco d’artificio finale. Per i distratti mi limiterò a ricordare che la distanza della Terra dal Sole è di soli otto minuti luce e che, in fondo, i dinosauri si sono estinti senza l’aiuto della razza umana. Possibili cataclismi cosmici a parte, un altro e ben più grave pericolo minaccia da sempre l’essere umano: i suoi simili.
Non tutti beninteso: soltanto quelli che dopo aver scartato l’eterna ricerca del “Chi siamo? donde veniamo? dove andiamo?” puntarono lo sguardo sul proprio fratello e pensarono: “…e questo come potrei utilizzarlo?”; nacque così \’homo politicos che si evolse poi in una miriade di sottospecie, una più deleteria dell’altra.
Mi perdoni il lettore se non mi soffermo oltre su questi argomenti profondi e sovversivi per tornare nei binari del tema che mi ero prefisso; irrazionale e ascientifico, esso verterà su persone ed ambienti soffusi di un’aura magica e controversa dove ortodossia e paganesimo combattono la loro eterna battaglia senza vincitori né vinti, senza eletti né dannati il cui motto, coniato da Rafael Neville, suona così: Sognare è vivere.
Concluderò questo preambolo col definire i limiti geografici del teatro che vide l’origine e lo svolgersi di tante fiabe: la Costa Smeralda senza dubbio, elemento trainante di tutte le vicende trattate, dove l’Aga Khan ha profuso mezzi ed energie, vissuto e sofferto vicende e traversie personali, dando di se stesso molto più di quanto egli non sappia: grazie Altezza!
Ma per me e per tanti altri la Costa è assai più estesa: da Capo Figari a Capo Testa, dovunque un commando di homo ludicus abbia lasciato le tracce dei suoi piedi nudi, le ceneri di un barbecue improvvisato, gli echi di una festa o di un happening, il ricordo di una burla innocente o boccaccesca, il quasi impercettibile eppur tangibile indizio di un flirt o di una storia d’amore destinata a durare più dei suoi stessi protagonisti, là è la Costa…
Omaggio ad Andrea Nissardi, storico fotografo ufficiale della Costa Smeralda e primo collaboratore del nostro giornale sin dai primi anni ’70
in copertina:
Il signor Podbielski con la principessa Margareth e Lord Snowdon a Liscia di Vacca
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